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venerdì 7 settembre 2012

IL PETROLIO NEL MARE DI BARI Canio Trione

In tempi di ristrettezze avere il petrolio per una economia che dipende dall’estero per l’85% delle proprie necessità energetiche è una manna. Specie se, come il caso dell’Italia, le riserve stimate presenti nel sottosuolo e nel mare sono tra le più cospicue d’Europa.
Però l’Italia non è come la Gran Bretagna o la Norvegia o gli Usa; da noi tutto è complicato, anche estrarre petrolio, specie dopo che si è capito che sporca. Le trivellazioni al largo delle nostre coste divengono così argomento di contestazione violentissima: al largo del Veneto mettono a repentaglio Venezia; il recente terremoto in Emilia lo si è fatto risalire (in termini probabilistici) alle vicine trivellazioni; al largo delle Tremiti manco a parlarne. Come si uscirà da questa situazione? Probabilmente come è già accaduto ai lucani o alle numerose installazioni di aerogeneratori: chi avrà la possibilità di produrre energia o estrarre petrolio riconoscerà alle popolazioni interessate (e, per esse, alle istituzioni locali) delle percentuali (risibili) sull’intero business. Nessuno controlla che i patti vengano rispettati né che si verifichino danni ambientali imprevisti: un rigagnolo di soldi passa dalla multinazionale dell’energia ai signorotti locali che così tacitano le popolazioni.
Stessa cosa accadrà per le estrazioni di petrolio al largo delle nostre coste; il politico che protesta di più, c’è da scommetterlo, prenderà un po’ più di soldi; niente altro. Il bilancio complessivo dell’intera operazione vedrà che la grande maggioranza degli incassi andranno alle multinazionali; qualche lavoratore in più troverà occupazione; i politici locali avranno più danari da gestire; mentre le popolazioni (forse) beneficeranno della fetta più modesta.
È evidente l’intento truffaldino che oggi, nel dramma della crisi, non può più essere accettato.
In tempi di malessere economico così grave però è necessario che lo stato benefici maggiormente di questo petrolio: se esso ne è il proprietario può venderlo -dopo aver pagato le spese di estrazione ad una società privata- sul mercato internazionale per ridurre il debito. Come tutte le privatizzazioni anche questa può essere utilizzata per ridurre il debito in maniera piccola ma costante. Se poi il pagamento di questo petrolio avviene esclusivamente  con titoli di stato italiani a dieci anni, potremmo beneficiare da subito della riduzione fino a zero del famigerato spread. Sarebbe un successo straordinario!!! Il debito della repubblica riprenderebbe la tripla A e tutti i tassi di interesse praticati nello stivale scenderebbero; gli investitori internazionali farebbero affluire i loro capitali in Italia. Difficile? No, è cosa elementare di cui si dovrebbe già parlare; però nessuno si azzarda anche solo a proporla; come mai? Forse perchè le multinazionali che aspirano ad avere le concessioni non vedrebbero di buon occhio tale politica. Infatti esse estraggono al costo di estrazione mentre vendono i carburanti al prezzo internazionale cioè come se acquistassero la materia prima dai produttori esteri. Ne ricavano utili faraonici (per l’Eni si parla di 18 miliardi di euro annui dopo aver pagato le tasse) che però in tempo di crisi gridano allo scandalo.
La politica è chiamata senza alcun tentennamento a:
1)      Pensare ad utilizzare meglio quella materia prima a diretta riduzione del debito;
2)      Spiegare alle multinazionali che loro possono continuare nel loro attuale business e, in più estrarre petrolio “conto terzi” per il governo italiano e quindi aggiungere un nuovo provento a quelli già esistenti.
3)      Utilizzare la significativa riduzione dello spread per ridurre le tasse e così far ripartire l’economia. Cominciando dalle aree prospicienti i pozzi (come Bari e la Puglia) dove si dovrebbero azzerare le addizionali per gli enti locali e ridurre la fiscalità nazionale di almeno un trenta per cento.
Non sarebbe sufficiente per far ripartire lo sviluppo ma almeno l’immensa ipoteca del debito pubblico sarebbe disinnescata. È inoltre molto probabile che molti italiani vedrebbero più possibilisticamente le trivellazioni se assieme ad essere “sicure” sul piano ambientale (come nessuno mancherà di assicurare) siano anche un sistema per, in un colpo solo, ripianare i buchi di bilancio pubblico e rilanciare l’economia e l’occupazione. Ed è anche una occasione per le grandi imprese del petrolio  di mostrare che anche loro fanno la loro parte per uscire dalla crisi, non più solo riducendo di una manciata di centesimi il prezzo dei carburanti per un giorno la settimana, ma in maniera sostanziale, convinti che uscire dalla crisi è interesse prioritario anche loro!